venerdì 6 novembre 2015

Gina Pane. "Per amor Vostro"



Gina Pane, artista italo francese di rara poetica è dai più conosciuta per le sue performance sul corpo, molto provocatorie e criticate. La performance è una manifestazione artistica nata negli anni sessanta sulla falsariga di quello che Pollock faceva attorno ai quadri: danzava di una danza quasi tribale per dare forma al suo "dripping" il gesto libero della mano che colava il colore sulla tela. Dei movimenti cadenzati in cui Pollock è stato anche filmato, con un ritmo costante che dava magia alla tela.
Negli stessi anni ma a Parigi Yves Klein con le sue Antropometrie dipingeva con le modelle, intingendole nel colore e imprimendo il colore nel loro corpo sulla tela, dando inizio a una vera e propria azione di Body Art. A Vienna sono Gli Azionisti Viennesi, riuniti sotto un unico manifesto a rivendicare le azioni sul corpo, un corpo che viene masochisticamente e sadicamente martoriato, le loro performance si spingono fino al limite della morte a volte, provocatoriamente spesso attacando ideologie religiose o convinzioni radicate. Queste performance avvengono sempre di fronte a un piccolo pubblico invitato che non riesce a stare inerte di fronte a tali atti violenti. Con gli Azionisti Viennesi, sovente il dolore prendeva il sopravvento e non erano rari casi di isteria nel pubblico che iniziava a gridare e a scongiurarne la fine. Diciamo che il loro era un approccio orgiastico e dionisiaco, in cui si sapeva dove iniziare non si sapeva come sarebbe andata a finire...
Di tutt'altro piano ma sempre impostato sul corpo sono le performance di Gina Pane, preparate con una meticolosità e un'attenzione altissima.
Fino a Nietzsche il corpo è considerato un "oggetto" oltre dell'anima. La tradizione giudaico cristiana e ancora prima Platone, aveva distinto il pensiero dal corpo, Cartesio l'aveva alla fine classificato come res extensa opposto alla res cogitans, dando luogo a quella separazione netta che vedrà il corpo sempre come qualcosa di "altro" dal soggetto. Chi rompe questa concezione è Nietzsche affermando che il corpo è una grande ragione: "Il corpo è la grande ragione, una molteplicità con un unico senso, un conflitto e la sua ricomposizione, un gregge e un pastore. Utensile del tuo corpo è anche la tua piccola ragione, fratello mio, che chiami spirito: un piccolo strumento da lavoro e da gioco della tua grande ragione. "
Io’ dici tu, e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa ancora più grande, cui tu non vuoi credere, è il tuo corpo e la sua grande ragione: essa non dice ‘io’, ma agisce da ‘io’. [...]
Il corpo entra nel soggetto, o meglio il corpo è il soggetto, un soggetto con una pluralità di sensi. Un mondo vasto cui è possibile accedere liberandosi di certe imposizioni preconcette.
Gina Pane intuisce questa potenzialità del corpo e con la ferita cerca di comunicare un altro mondo.
La sua performance più importante è "Azione Sentimentale" eseguita in una galleria di Milano di fronte ad un pubblico di sole donne e documentata con una serie di fotografie. L'artista completamente vestita di bianco (la Pane non si è mai denudata nelle sue performance) ha in mano due mazzi di rose uno rosso e uno bianco, con molta calma e quasi in una dimensione estatica, inizia a infilarsi sul braccio sinistro le spine delle rose, uno alla volta fino a far sgorgare alcune gocce di sangue, sul palmo della mano con una lametta disegna un fiore.
È un'azione che ha non solo un valore sociale atto a denunciare la condizione del dolore femminile, ma anche filosofico, il taglio la ferita, apre al mondo del corpo. Baudelaire in A colei che è troppo gaia immaginava di ferire la sua amata per instillargli dentro il "suo veleno".
"E infliggere al tuo fianco stupefatto
Una profonda, una larga ferita:
Vertiginosa dolcezza! Attraverso
Le nuove labbra, più splendenti e belle,
Infonderti, sorella, il mio veleno!"
Il veleno non è altro che la conoscenza, è la conoscenza dell'altro. Il poeta immagina di aprire una ferita, un nuovo sesso dal quale infondere il suo veleno, la conoscenza. Un altro corpo è il totalmente altro, entrare in un altro corpo è penetrare un mondo totalmente inesplorato. La stessa Pane ci dice: "Se apro il mio corpo affinché voi possiate guardarci il mio sangue, è per amore vostro: l’altro.". É un atto di amore quello della Pane un atto all'interno del quale scorgiamo una religiosità molto forte, al di fuori degli schemi precostituiti. L'altro è il mondo che si apre attraverso la conoscenza del corpo, la comunicazione, "il mondo totalmente inesplorato è il mondo dell'altro.
É la stessa artista che ci dice: "Vivere il proprio corpo vuol dire allo stesso modo scoprire sia la propria debolezza, sia la tragica ed impietosa schiavitù delle proprie manchevolezze, della propria usura e della propria precarietà. Inoltre, questo significa prendere coscienza dei propri fantasmi che non sono nient’altro che il riflesso dei miti creati dalla società… il corpo (la sua gestualità) è una scrittura a tutto tondo, un sistema di segni che rappresentano, che traducono la ricerca infinita dell’Altro."
Gina Pane abbandonerà queste performance per fare posto ad una produzione artistica più sui generis sempre però ad altissimo livello. Morì nel 1990 a causa di un cancro, il corpo l'aveva messa alla prova ancora una volta.




Foto della Performance "Azione Sentimentale"


Bibliografia:

Lea Vergine, Body art e storie simili, Skira 2000 Mi

Umberto Galimberti, Il corpo, Feltrinelli 1998

Franco Rella, Ai confini del corpo, Garzanti, 2012



martedì 13 ottobre 2015

Tiziano. Amor Sacro e Amor Profano.

Aveva solo 25 anni quando il giovane pittore cadorino Tiziano fu incaricato da Niccolò Aurelio di dipingere un quadro che rappresentasse l'amore eterno spirituale e l'amore complesso terreno. Niccolò Aurelio era veneziano, e la Serenissima usciva da una lunga guerra con la terraferma guidata dalla cosidetta Lega di Cambrai, che, spinti da Massimiliano I d'Asburgo voleva battere la prestigiosa e fortissima Repubblica di Venezia. Con la Lega di Cambrai vi era pure la città di Padova e fra essi la signoria dei Bagarotto. La guerra finì con la sconfitta della Lega di Cambrai e i traditori tra cui Bertuccio Bagarotto furono impiccati. Per motivi ignoti la figlia di Bertuccio Bagarotto, Laura, s'innamorò di Niccolò Aurelio e questa relazione fece molto scalpore, il gossip veneziano e patavino all'epoca non parlava d'altro.
Ecco la ragione della committenza di un quadro ad un pittore che in quel periodo si stava affermando sulla scia di altri veneti tra cui Giorgione e i Bellini, Tiziano.
Il quadro ora collocato alla galleria Borghese a Roma, vanta una serie notevole di interpretazioni, per anni molti critici hanno dato letture diverse dell'opera, e noi, fedeli all'ermeneutica, sappiano quante più letture vi sono in un'opera d'arte tanto più elevato è il valore dell'artista.(fig. 1)

Tiziano Amor Sacro e Amor Profano, 1514.

É il 1514 anno in cui il quadro viene dipinto, la concezione della bellezza femminile di Tiziano come dell'Umanesimo era ben definita. Le due donne raffigurate hanno forme generose e lineamenti tipicamente classici, guance rosse e occhi ben attenti. Ma esse pur essendo due concezioni dell'amore opposte come l'amore sacro e l'amor profano, si assomigliano, sembrano sorelle quasi gemelle.
E, diversamente da come si potrebbe intendere ad una prima occhiata l'amore sacro non è la donna vestita, ma la donna "spogliata", richiamo alla nuda Veritas classica. L'atteggiamento della figura nuda sulla destra è molto più "spirituale" la posizione anche, sembra innalzarsi al cielo, si sorregge su un piede solo, e il manto rosso svolazzante crea questa idea del vento che l'innalza. Inoltre tiene sulla mano sinistra un cero, una lampada ardente, acceso, simbolo dell'amore eterno ripreso dalla parabola evangelica delle vergini savie che tengono il fuoco acceso in attesa dello sposo. Ricordiamola
Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi... "
La donna nuda è stata molto spesso intepretata come Venere, e i colori che Tiziano usa per ritrarla sono solo il rosso e il bianco. Rosso vivo, ardente, tizianesco, simbolo della passione e, bianco simbolo della purezza una contraddizione semprerebbe o forse come hanno interpretato alcuni la passione spirituale "l'estasi", che prendeva tutto il corpo. L'atteggiamento dell'amore sacro (Venere) sembra volutamente rivolto alla sua controparte l'amor profano, la vuole consigliare, forse più esperta nelle cose dell'amore, e con una espressione meno innocente.
Dall'altro lato l'amore profano, stranamente tutto vestito lo ricordiamo. Seduta bene quasi sprofondata sul ciglio della fontana, ben radicata alla terra, l'amore terreno. Lei sembra guardarci con occhio attento, i capelli rossi, le guance arrossate. Non si sa se il vestito sia lo stesso della sposa Laura Bagarotto, sta di fatto che di abito da sposa si tratta. I guanti, qui indossati, sono tipici delle spose del '500 così come la cintura unico gioello portato come si usava, perchè doveva risaltare la bellezza della sposa non la bellezza dei gioielli. Il panneggio della gonna è quanto di più raffinato si possa trovare in pittura, sapiente gioco di chiaroscuri che evidenziano una acuta conoscenza di Tiziano della statuaria classica. È l'immagine di una sposa ideale, bella, raffinata, attenta, non sappiamo quanto sia fedele a Laura Bagarotto, non possediamo ritratti di lei, fatto sta che corrisponde alla bellezza ideale e idealizzata del rinascimento. Le simbologie nuziali sono numerose, ha in mano un fiore di mirto, fiore coniugale fin dall'antichità che fiorisce proprio a Maggio mese del matrimonio dei due. I colori sono ancora una volta il bianco e il rosso, solo il braccio destro è rosso, qui un altro mistero. Il bianco abbiamo detto candore virginale e il rosso ardore della passione.
La sposa infine tiene con se un contenitore chiuso sulla mano sinistra, non si sa precisamente cosa voglia significare probabilmente un rimando al vaso di Pandora che sencondo la leggenda mitologica non andrebbe mai scoperto, e la sposa lo tiene chiuso ad assicurare la pace matrimoniale. Un'interpretazione un pò bizzarra è quella che vede in questo vaso chiuso il contenitore delle ceneri del padre della sposa.
Al centro della composizione appare ben in evidenza un putto, un amorino, senza dubbio Cupido dalle ali che si scorgono dietro. È posto in primo piano anche da un sapiente gioco di luce lo sfondo è totalmente scuro, l'arbusto dietro di lui lo esalta in tutta la sua importanza. Sta giocando con l'acqua, como gioca un qualunque bambino e sta creando dei cerchi concetrici. La fusione dei due tipi di amore deve essere garantita nel matrimonio. L'acqua inoltre fa pensare a rimandi petrarcheschi, l'accostamento al nome Laura e alle "chiare fresche et dolci acque" è sin troppo evidente.
Sempre al centro del quadro sopra la fontana vi è un piatto o meglio una coppa bacellata in argento dorato, posto in posizione troppo strategica per essere un semplice ornamento, è una "patera" un piatto rotondo dai bordi rialzati i cui venivano deposte le offerta agli dei. Ecco da dove si intuisce che la fontana o l'antico sarcofago trasformato in fontana diviene un'altare agli dei.
Un famoso studioso un certo Wethey nel 1975 ha affermato che nel fondo del piatto vi sia lo stemma della famiglia Bagarotto, tuttavia anche dopo il restauro del 1995 non è affatto chiaro cosa si celi disegnato sul fondo del piatto.
Mentre lo stemma degli Aurelio è chiaramente visibile nel sarcofaco fontana, uno scudo diviso in due con un busto di leone nella parte superiore e una coda di serpente in basso (fig. 2). 

Fig. 2 Stemma 

In questo bassorilievo si vede un uomo che percuote un'altro con una frusta mentre una figura femmile guarda, forse il rimando a un passato recente della guerra tra la lega di Cambrai e Venezia, o una contrapposizione tra l'ira e l'agitazione e le figure ferme e rigidamente serene della parte superiore del quadro. (fig. 3)

Fig. 3 Bassorilievo

Tutta la composizione è avvolta in un paesaggio squisitamente bucolico, un campagna veneta? I dintorni di Venezia? L'entroterra trevigiano? Non si sa, si è insistentemente cercato un luogo esistente che ricordasse il quadro, invano. È un paesaggio tipicamente giorgionesco questo si, sulla sinistra un castello con un torrione circolare,(fig. 4) un'architettura militaresca probabilmente. 

Fig. 4 Paesaggio

Sulla destra un laghetto con un pastore e due amanti, due cavalieri a caccia con i loro cani. In poco spazio un idillio pastorale vicino ad una scena di caccia un'altra comtrapposizione in questo quadro dagli infiniti rimandi e dualismi (fig. 5).

Fig. 5 Idillio pastorale e caccia.

In fondo distese di pianura indefinita, con campiture di colore blu.


Bibliografia 

STEFANO ZUFFI, Amore Sacro e Amor Profano, Misteri dell'arte 24 ore cultura, 2012

STEFANO ZUFFI, Tiziano, Mondadori 1991. 

AAVV, Tiziano. Amor sacro e Amor profano, in Cento dipinti, RCS 1998.







lunedì 28 settembre 2015

Arnold-Böcklin. Il Fascino dell'isola dei Morti 1880.

L'isola dei morti è un quadro dipinto nell'anno 1880 da Arnold-Böcklin, un quadro particolare per tema colori e narrazione. (fig.1) 

Fig. 1 Bocklin. Isola dei Morti 1880. Prima versione.


Siamo nel 1880 in tutt'europa agli albori del Simbolismo, mentre già si stanno facendo strada gli impressionisti con una visione del paesaggio modificata dalla rivoluzione industriale e da un certo modo positivista di guardare alla realtà. Chi accetta la nuova visione del paesaggio dettata dalle nuove tecnologie industriali: gli impressionisti e la nuova visione della città, chi cerca nell'arte un'intento sociale come Courbet con il suo realismo, chi non accetta questo mondo nuovo e si ritrae in un'eden indefinito di classicismo come i preraffaelliti inglesi o il mondo onirico dei simbolisti. Bocklin ci parla attraverso l'inconscio e i sogni, in paesaggi dettati da geografie improbabili, a detta di molti critici il riferimento dell'Isola dei morti, potrebbe essere un paesaggio del sud-Italia, Ischia o Ventotene, il tutto stride tuttavia con i cipressi tipicamente toscani.
Bocklin era un'artista che faceva parte della cerchia dei Deutsch-Romer, una cerchia ristretta di intellettuali tedeschi che ricercavano a Roma e nell'Italia meridionale di ripercorrere il percorso del Gran Tour, iniziato dagli artisti tedeschi un secolo prima. Nell'Italia cercavano la grandezza del Rinascimento e le origini del classico.
L'origine dell'isola dei Morti pare sia stata dettata dalla stessa committente che voleva un quadro che "comunicasse una tale impressione di silenzio, da far provare spavento nel sentir bussare alla porta". È proprio il silenzio il protagonista del quadro, ma un silenzio che inquieta. Nella parte inferiore l'acqua che da serenità, nella parte centrale le "grandi braccia" che sembrano accogliere in un abbraccio "a venire" i visitatori, e infine i grandi cipressi, simboli di morte ma anche di elevazione al cielo. Le rocce sono per metà antropizzate, sulla destra una serie di sepolcri classici, sulla sinistra un blocco di marmo forse un cenotafio, più luminoso che mai. La barca infine, con un rematore dal sesso indefinito che trasporta una bara e una figura in piedi. Non sappiamo chi o cosa sia quella misteriosa figura velata di bianco, forse una statua, forse un'anima; troppo evidente il paragone con Caronte che trasporta i morti nell'aldilà. Se però osserviamo il movimento della barca sembra che la direzione del rematore sia verso di noi, ci viene incontro: una svista, una contraddizione, un gesto voluto per creare mistero, un'ammonizione. Non lo sappiamo.
Cinque sono state le versioni dipinte da Bocklin di questo quadro, che differiscono per la tonalità dei colori. (fig. 2,3,4,5), la prima versione (quella che prendiamo in considerazione) si trova a Basilea il quadro è studiatissimo nella composizione e nei colori, le linee guida sono ben visibili (fig. 6). Questo misterioso soggetto dell'isola ebbe un successo immediato, tra tutti gli strati della popolazione.
Nel 1930 la quinta versione era stata acquistata da Hitler, che la teneva sempre con se. Quando i russi lo ritrovarono suicida assieme alla famiglia, nel 1945 a Berlino nel suo bunker pare ci fosse il quadro di Bocklin, ma cosa affascinava i nazisti di questa raffigurazione. Marco Dolcetta ci spiega che è per il suo paesaggismo spirituale, per il suo titolo "isola dei morti", inoltre per la sua associazione con l'antichità. L'ideologia nazista vedeva nell'antichità le fondamenta della razza ariana, incarnava insomma quel quadro "un complesso di terra, di popolo, natura, passato e morte"
come Thomas Mann spiegava la folle ideologia nazista. Vi è poi una sottile linea rossa che collega la mitologia greca alle mitologie nordiche, molti romantici rileggono Plutarco e Omero in questa chiave.
Pare che anche Lenin avesse una copia dell'isola dei morti, sopra in suo letto e che D'Annunzio sul suo Vittoriale fece piantare dei cipressi molto simili a quelli del quadro per citarlo.
August Strindberg vi dedicò un'opera teatrale che merita di essere citata nella sua introduzione: " Il fondale è costituito dal dipinto "L'isola dei morti" di Boecklin. La scena è vuota; si ode prima un sussurrio, poi un parlottare più distinto. Custode (a destra, sulla terrazza di montagna, si avanza e soffia nel corno).
Maestro (un uomo slanciato, vestito di bianco, con una testa che ricorda quella di Zeus, però con i capelli e barba bianca, esce da un viale di cipressi e si avvia verso il molo)
(da sinistra entra una barca nera, con rematori neri, e porta una bara bianca, presso cui si erge una Figura bianca)"
E' la rappresentazione del dipinto, il dramma prosegue con il morto che si mette a parlare e invoca un pò più di sonno per se, il tema rientra nel sonno-morte. Per Strindberg il sonno è preludio della morte.
Gustav Jung, il psichiatra svizzero, riprende il quadro di Blocklin per dimostrare un caso clinico del suo paziente Henry. Si tratta di un paziente descritto nel libro di C. G. Jung "l'uomo e i suoi simboli": Henry un giovane ingegnere 25 enne nel cui sogno numero 1 vede una giovane donna interprete di una rappresentazione teatrale "che sosteneva un ruolo patetico, e indossava un vestito lungo e svolazzante. (Da C.G. Jung, L'uomo e i suoi simboli, ) "Nella donna Jung interpreta il sogno come una rassomiglianza con la figura che si scorge nel dipinto "L'isola dei morti" che Henry conosceva benissimo. La donna prosegue Jung è la personificazione del lato femminile del giovane, e la connessione con "l'isola dei morti" sottolinea l'atteggiamento depresso di Henry, che nel quadro
trova adeguata espressione." Jung continua: "Il dipinto presenta una figura dall'aspetto sacerdotale, vestita di bianco, che guida verso un'isola una barca sulla quale è deposta una bara. In esso si manifesta, evidente, un duplice, significativo paradosso: la posizione della barca sembra suggerire una direzione inversa, «dall'» isola, e non «verso» l'isola; e la figura sacerdotale è di sesso indeterminato. Nella associazione di Henry tale figura è certamente di natura ermafrodita. Il duplice paradosso coincide con l'ambivalenza di Henry: gli elementi psichici «opposti» sono in lui ancora troppo indifferenziati per poter venire chiaramente distinti."
Una dimostrazione dunque in chiave analitica di quell'infinito processo ermeneutico che il quadro con i suoi simboli, i suoi segni, il suo mistero, il suo fascino, i suoi enigmi, le sue allusioni continua ad impressionare chi lo guarda.


Fig.2  Bocklin. Isola dei Morti 1880. Seconda versione.
 
Fig.3  Bocklin. Isola dei Morti 1883. Terza versione.


Fig.4  Bocklin. Isola dei Morti 1884. Quarta versione.
Fig.5  Bocklin. Isola dei Morti 1886. Quinta versione.


Fig.6  Bocklin. Isola dei Morti 1886. Linee compositive.



Bibliografia:

Marco Dolcetta, Arrivo all'isola dei morti, il fascino del quadro dei misteri, Wingsbert House 2014

AA. VV., Collana Cento Dipinti, Boclkling. Isola dei morti, Rizzoli 1999

AA. VV., I "Deutsch-Romer". Il mito dell'Italia negli artisti tedeschi, 1850-1900, Galleria nazionale d'Arte moderna e Contemporanea, Roma 1988

August Strindberg, Teatro da Camera, Adelphi 1980.


C.G. Jung, L'uomo e i suoi simboli, Tea 2004