Negli anni dal 1946 al 1949 Mark Rothko
inizia una fase transitoria della sua produzione artistica i
cosiddetti Multiforms. Il suo collega e amico Bernett Newmann aveva
esortato il mondo durante la guerra a questa evenienza: "noi
percepivamo la crisi morale di un mondo che era un campo di
battaglia, di un mondo che era devastato dalla tremenda distruzione
di una guerra mondiale incombente... Era impossibile disegnare come
prima : fiori, nudi sdraiati, suonatori di violoncello."
La scelta non era tra figurativo ed
astratto, ma si sentiva il bisogno di nuovo, dopo la guerra nulla era
più come prima "Non credo che il problema sia se dipingere in
modo astratto o figurativo. Piuttosto si tratta di por fine a questo
silenzio, a questa solitudine, respirare di nuovo e poter tendere
ancora le braccia". Respirare di una libertà ripresa e tendere
le braccia a nuovi orizzonti e sperimentalismi. I Multiforms sono circa
una novantina di quadri eseguiti in tre anni da Rothko, il nome
Multiforms gli è stato dato postumo dalla critica degli anni
Settanta. Questo è un passaggio cosiddetto intermedio della
produzione pittorica di Rotkho, preludio di quella che sarà la
"produzione classica" del pittore. Fino ad allora
l'influenza surrealista e figurativa si era imposta nella pittura di Rothko. Ora l'astrazione è totale, l'influenza è sicuramente
ascrivibile a Pierre Bonnard un tardo impressionista (fig. 1) che
considerava " Il quadro ... un susseguirsi di macchie che si
legano tra loro e finiscono per formare l'oggetto, sulle cui parti
l'occhio incede senza strappo."
Fig. 1 Pierre Bonnard, La Seine à Vernon 1927 |
Non ci sono buchi nelle
Multiforms di Rothko (fig. 2,3) ogni angolo è dipinto: le forme
diventano macchie cromatiche prive di consistenza, sfocate che paiono
sorgere all'interno di un dipinto, non c'è soluzione di continuità
nel quadro.
Fig. 2 Mark Rothko N° 18, 1948 |
Fig. 3 Mark Rothko, Untitled, 1948 |
Queste rappresentazioni sono portatrici di significato
sono "organismi" "con la passione per l'asserzione in
sè". Qui subentra anche un nuovo concetto di bellezza afferma
infatti Rothko: "L'identità familiare delle cose va ridotta in
polvere, allo scopo di eliminare le associazioni limitate con cui la
società riveste sempre più ogni aspetto del nostro ambiente",
vi è una dissoluzione delle cose non ci sono più familiari, viviamo
in questa condizione in mezzo ad una specie di polvere. Marx aveva
detto in proposito riguardo alla società capitalista un secolo prima
"Tutto ciò che è solido si scioglie nell'aria". Questa
evanescenza si imprime nella tela una tela fluida in cui il titolo è
assente "Tra gli artisti è diffusa l'opinione che quanto si
rappresenta sia indifferente, purchè lo si rappresenti bene. Questa
è pura accademia. Non c'è nulla di meglio di un quadro sul nulla.
Noi crediamo che la materia sia essenziale, come lo è il ciclo
tematico, tragico e senza tempo. Sotto questo aspetto ci sentiamo
molto legati all'arte primitiva arcaica." Un quadro sul nulla,
non è semplicistica rappresentazione del nulla come qualche artista
arriva a dipingere con dei monocromi, ma diretta emozione dei colori
che non rimanda a forme conosciute: "fiori, nudi sdraiati,
suonatori di violoncello." citando Newmann, ma sensazioni.
La fase matura "classica", e
più conosciuta della pittura di Rothko è la stratificazione delle
bande di colore sulla tela,(fig. 4,5) contrasti drammatici, "tragici"
li chiama il pittore di colori diversi.
Fig. 4 Mark Rothko, n° 61, 1953 |
Fig. 5 Mark Rothko, N° 1958 White, Red on yellow |
Tragico non nel senso di
dramma, ma nel senso nietzschiano della parole di accostamento dei contrari Apollineo e Dionisiaco
convivono nella tragedia greca così come convive una banda nera e
una rossa (fig. 6) una verde e una rossa due bianche e una
nera (fig. 7 aNo3/n.13).
Fig. 6 Mark Rothko, N° 24, 1951 |
Fig. 7 Mark Rothko, aNo3/No 13 Magenta, Black, Green on Orange, 1949 |
I quadri iniziano ad essere sempre più
grandi, la cornice sparisce e si introduce il tema del muro cui
applicare la tela. Rothko non voleva che le opere fossero appese
su muri bianchi che ricordavano le sale da ospedale, ma da pareti
irregolari e accidentate, era ossessionato dal finto decorativismo
che alcuni quadri producono alle pareti. Il tema del muro è stato
affrontato mirabilmente da Argan che cita Rothko come colui che
costruisce una parete servendosi del colore. Già nella storia il muro
aveva avuto diverse declinazioni, nell'architettura gotica il muro
veniva colorato con vetrate luminose tra i pilastri delle cattedrali,
nell'architettura moderna razionale, il muro veniva smaterializzato
con il vetro tanto che interno ed esterno andavano a confondersi
(fig. 8 ), nel neoplasticismo architettura e pittura
si fondevano nel muro (fig. 9) fino ad arrivare a Frank
Lloyd Wright e Rothko appunto in cui dice Argan, vi è
"l'affermazione del valore visivo della parete".
Fig. 8 Walter Gropius, Fabbriche Fagus, 1911. |
Fig. 9 Gerrit Rietveld, Casa Schröder a Utrecht, 1924 |
Il colore
è il nuovo materiale per l'architettura che inonda lo spazio di
forte emotività. Sempre più le opere di Rothko fanno attenzione
allo spazio teatrale in cui sono esposte, non semplici musei, ma
stenze con diverse opere sue in cui l'una evocasse il carattere
dell'altra in una sinfonia di colori che suggestionasse lo
spettatore. Come un insieme di casse acustiche messe in circolo che
suonano la stessa musica producono un suono d'insieme molto
suggestivo e avvicinandosi ad ogniuna si percepisce un timbro
diverso, una tonalità diversa, i quadri di Rothko che occupano
intere pareti creano un insieme armonioso ma allo stesso tempo ogni
quadro ha un suo specifico "suono" (fig. 10)
Fig. 10 The Rothko Room, Philips Collection, 1961 |
C'è il rapporto tra i quadri ma c'è anche il rapporto con
l'osservatore, le dimensioni dereminano un avvolgimento del colore
dice l'artista: "l dipinto non può vivere nell'isolamento. Ha
bisogno dello sguardo di un osservatore sensibile per potersi
ridestare e sviluppare. Senza quello sguardo il dipinto muore. Ogni
volta che ci si congeda dall'opera e la si consegna al mondo si
compie un gesto rischioso e spietato. Quante volte il nostro dipinto
sarà irrimediabilmente offeso dallo sguardo volgare o crudele di
coloro che vogliono riempire l'intero universo della loro meschinità
della loro impotenza!!!" Mark Rothko "The Tiger's
Eye".1947. l fatto di non limitare il quadro alle catene dei
quattro lati in cui è rinchiuso dalla cornice ma di espandersi in
una spazialità in cui lo spettatore si vede immerso indica il
tentativo di rottura dello spazio profano, come ha ampiamente
dimostrato la Rothko Chapel (fig. 11) entriamo nel mondo del sacro.
Fig. 11, The Rothko Chapel, 1971. |
L'opera del nostro autore è permeata
di una teoria fitta di scritti che spiegano ed esaltano la trama
intellettuale del suo lavoro. I suoi dipinti ora non hanno titoli
solo numeri afferma infatti ""I nostri dipinti non si
possono spiegare attraverso annotazioni. Queste spiegazioni devono
scaturire soltanto dallo scambio reciproco tra dipinto e osservatore.
L'amore per l'arte è un connubio di idee..."
Molta parte della critica si è
soffermata sul fatto che Rothko avesse dipinto un'unica opera e che
le altre non fossero che variazioni su tema, dall'altra parte Donald
Judd un artista che lo ha molto criticato ed amato diceva di lui "la
prima opera che l'artista sembra appartenergli, non è una soluzione
che limita le possibilità di un'opera ma un'opera che apre a
possibilità sconfinate", quindi contrariamente a certa critica
questa presunta serialità non era un limite ma una possibilità di
apertura a nuove sperimentazioni.
Bibliografia:
Jacob Baal-Teshuva, Rothko, Ed. Taschen, 2003
Venturi Riccardo, Mark Rothko, lo spazio e la sua disciplina, Electa 2007
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