mercoledì 19 ottobre 2016

Mark Rothko: colore materia della parete.

Negli anni dal 1946 al 1949 Mark Rothko inizia una fase transitoria della sua produzione artistica i cosiddetti Multiforms. Il suo collega e amico Bernett Newmann aveva esortato il mondo durante la guerra a questa evenienza: "noi percepivamo la crisi morale di un mondo che era un campo di battaglia, di un mondo che era devastato dalla tremenda distruzione di una guerra mondiale incombente... Era impossibile disegnare come prima : fiori, nudi sdraiati, suonatori di violoncello."
La scelta non era tra figurativo ed astratto, ma si sentiva il bisogno di nuovo, dopo la guerra nulla era più come prima "Non credo che il problema sia se dipingere in modo astratto o figurativo. Piuttosto si tratta di por fine a questo silenzio, a questa solitudine, respirare di nuovo e poter tendere ancora le braccia". Respirare di una libertà ripresa e tendere le braccia a nuovi orizzonti e sperimentalismi. I Multiforms sono circa una novantina di quadri eseguiti in tre anni da Rothko, il nome Multiforms gli è stato dato postumo dalla critica degli anni Settanta. Questo è un passaggio cosiddetto intermedio della produzione pittorica di Rotkho, preludio di quella che sarà la "produzione classica" del pittore. Fino ad allora l'influenza surrealista e figurativa si era imposta nella pittura di Rothko. Ora l'astrazione è totale, l'influenza è sicuramente ascrivibile a Pierre Bonnard un tardo impressionista (fig. 1) che considerava " Il quadro ... un susseguirsi di macchie che si legano tra loro e finiscono per formare l'oggetto, sulle cui parti l'occhio incede senza strappo." 
Fig. 1 Pierre Bonnard, La Seine à Vernon 1927


Non ci sono buchi nelle Multiforms di Rothko (fig. 2,3) ogni angolo è dipinto: le forme diventano macchie cromatiche prive di consistenza, sfocate che paiono sorgere all'interno di un dipinto, non c'è soluzione di continuità nel quadro. 
Fig. 2 Mark Rothko N° 18, 1948

Fig. 3 Mark Rothko, Untitled, 1948

Queste rappresentazioni sono portatrici di significato sono "organismi" "con la passione per l'asserzione in sè". Qui subentra anche un nuovo concetto di bellezza afferma infatti Rothko:  "L'identità familiare delle cose va ridotta in polvere, allo scopo di eliminare le associazioni limitate con cui la società riveste sempre più ogni aspetto del nostro ambiente", vi è una dissoluzione delle cose non ci sono più familiari, viviamo in questa condizione in mezzo ad una specie di polvere. Marx aveva detto in proposito riguardo alla società capitalista un secolo prima "Tutto ciò che è solido si scioglie nell'aria". Questa evanescenza si imprime nella tela una tela fluida in cui il titolo è assente "Tra gli artisti è diffusa l'opinione che quanto si rappresenta sia indifferente, purchè lo si rappresenti bene. Questa è pura accademia. Non c'è nulla di meglio di un quadro sul nulla. Noi crediamo che la materia sia essenziale, come lo è il ciclo tematico, tragico e senza tempo. Sotto questo aspetto ci sentiamo molto legati all'arte primitiva arcaica." Un quadro sul nulla, non è semplicistica rappresentazione del nulla come qualche artista arriva a dipingere con dei monocromi, ma diretta emozione dei colori che non rimanda a forme conosciute: "fiori, nudi sdraiati, suonatori di violoncello." citando Newmann, ma sensazioni.
La fase matura "classica", e più conosciuta della pittura di Rothko è la stratificazione delle bande di colore sulla tela,(fig. 4,5) contrasti drammatici, "tragici" li chiama il pittore di colori diversi. 
Fig. 4 Mark Rothko, n° 61, 1953
Fig. 5 Mark Rothko, N° 1958 White, Red on yellow


Tragico non nel senso di dramma, ma nel senso nietzschiano della parole di accostamento dei contrari Apollineo e Dionisiaco convivono nella tragedia greca così come convive una banda nera e una rossa (fig. 6) una verde e una rossa due bianche e una nera (fig. 7 aNo3/n.13). 
Fig. 6 Mark Rothko, N° 24, 1951
Fig. 7 Mark Rothko, aNo3/No 13 Magenta,
Black, Green on Orange, 1949

I quadri iniziano ad essere sempre più grandi, la cornice sparisce e si introduce il tema del muro cui applicare la tela. Rothko non voleva che le opere fossero appese su muri bianchi che ricordavano le sale da ospedale, ma da pareti irregolari e accidentate, era ossessionato dal finto decorativismo che alcuni quadri producono alle pareti. Il tema del muro è stato affrontato mirabilmente da Argan che cita Rothko come colui che costruisce una parete servendosi del colore. Già nella storia il muro aveva avuto diverse declinazioni, nell'architettura gotica il muro veniva colorato con vetrate luminose tra i pilastri delle cattedrali, nell'architettura moderna razionale, il muro veniva smaterializzato con il vetro tanto che interno ed esterno andavano a confondersi (fig. 8 ), nel neoplasticismo architettura e pittura si fondevano nel muro (fig. 9) fino ad arrivare a Frank Lloyd Wright e Rothko appunto in cui dice Argan, vi è "l'affermazione del valore visivo della parete".
Fig. 8 Walter Gropius, Fabbriche Fagus, 1911.

Fig. 9 Gerrit Rietveld,  Casa Schröder a Utrecht, 1924


Il colore è il nuovo materiale per l'architettura che inonda lo spazio di forte emotività. Sempre più le opere di Rothko fanno attenzione allo spazio teatrale in cui sono esposte, non semplici musei, ma stenze con diverse opere sue in cui l'una evocasse il carattere dell'altra in una sinfonia di colori che suggestionasse lo spettatore. Come un insieme di casse acustiche messe in circolo che suonano la stessa musica producono un suono d'insieme molto suggestivo e avvicinandosi ad ogniuna si percepisce un timbro diverso, una tonalità diversa, i quadri di Rothko che occupano intere pareti creano un insieme armonioso ma allo stesso tempo ogni quadro ha un suo specifico "suono" (fig. 10) 

Fig. 10 The Rothko Room, Philips Collection, 1961


C'è il rapporto tra i quadri ma c'è anche il rapporto con l'osservatore, le dimensioni dereminano un avvolgimento del colore dice l'artista: "l dipinto non può vivere nell'isolamento. Ha bisogno dello sguardo di un osservatore sensibile per potersi ridestare e sviluppare. Senza quello sguardo il dipinto muore. Ogni volta che ci si congeda dall'opera e la si consegna al mondo si compie un gesto rischioso e spietato. Quante volte il nostro dipinto sarà irrimediabilmente offeso dallo sguardo volgare o crudele di coloro che vogliono riempire l'intero universo della loro meschinità della loro impotenza!!!" Mark Rothko "The Tiger's Eye".1947. l fatto di non limitare il quadro alle catene dei quattro lati in cui è rinchiuso dalla cornice ma di espandersi in una spazialità in cui lo spettatore si vede immerso indica il tentativo di rottura dello spazio profano, come ha ampiamente dimostrato la Rothko Chapel (fig. 11) entriamo nel mondo del sacro.
Fig. 11, The Rothko Chapel, 1971.


L'opera del nostro autore è permeata di una teoria fitta di scritti che spiegano ed esaltano la trama intellettuale del suo lavoro. I suoi dipinti ora non hanno titoli solo numeri afferma infatti ""I nostri dipinti non si possono spiegare attraverso annotazioni. Queste spiegazioni devono scaturire soltanto dallo scambio reciproco tra dipinto e osservatore. L'amore per l'arte è un connubio di idee..."
Molta parte della critica si è soffermata sul fatto che Rothko avesse dipinto un'unica opera e che le altre non fossero che variazioni su tema, dall'altra parte Donald Judd un artista che lo ha molto criticato ed amato diceva di lui "la prima opera che l'artista sembra appartenergli, non è una soluzione che limita le possibilità di un'opera ma un'opera che apre a possibilità sconfinate", quindi contrariamente a certa critica questa presunta serialità non era un limite ma una possibilità di apertura a nuove sperimentazioni.

Bibliografia:
Jacob Baal-Teshuva, Rothko, Ed. Taschen, 2003

Venturi Riccardo, Mark Rothko, lo spazio e la sua disciplina, Electa 2007